Indagine sulle torture in India

Karl Marx (1857)


Pubblicato in: New York Daily Tribune, 17 settembre 1857.

Tradotto da Giordano Vintaloro. Estratto da Dal nostro corrispondente a Londra. Karl Marx giornalista per la New York Daily Tribune, Corpo60, 2016.


Il nostro corrispondente a Londra, la cui lettera a proposito della Rivolta indiana abbiamo pubblicato ieri, ha fatto molto giustamente riferimento ad alcuni dei precedenti che hanno preparato il terreno a questo scoppio di violenza. Ci proponiamo oggi di dedicare un momento alla continuazione di questo filone di riflessioni e di mostrare come i governanti inglesi dell’India non siano in alcun modo quei benefattori miti e immacolati del popolo indiano come vorrebbero che il mondo credesse. A questo scopo ci rifaremo agli atti parlamentari ufficiali sul tema delle torture nelle Indie orientali, i quali sono stati presentati alla Camera dei Comuni nelle sessioni del 1856 e 1857. Le prove che vi si vedranno sono di una sorta che non può essere contestata.

Per primo abbiamo il rapporto della Commissione torture di Madras, la quale esprime la sua “convinzione nella generale esistenza della tortura per motivi fiscali”. Non crede che “il numero di persone ogni anno soggette a violenza per reati penali sia minore né uguale a quello delle persone accusate di non aver pagato le tasse”.

Dichiara che c’è stata “una cosa che ha impressionato la Commissione anche più dolorosamente della convinzione che la tortura esista; ed è la difficoltà di ottenere un risarcimento che incontri le richieste delle parti offese”.

Le ragioni di queste difficoltà registrate dai Commissari sono: 1. Le distanze che coloro che desiderano sporgere reclamo personalmente all’esattore devono coprire, comportanti spese e perdite di tempo in attese presso il suo ufficio; 2. La paura che le domande per lettera “siano rispedite con il solito inoltro di un riferimento al tahsildar” — l’agente distrettuale fiscale e di polizia — ossia, allo stesso uomo che, o di persona o attraverso i suoi poliziotti subordinati, ha commesso il torto; 3. Gli insufficienti mezzi di procedura e punizione forniti dalla legge per i funzionari del governo, perfino quando siano formalmente accusati o condannati per queste pratiche. Sembra che se un’accusa di questa natura fosse provata davanti a un magistrato, questi potrebbe solo punirli con una multa di cinquanta rupie o un mese di reclusione. L’alternativa consisterebbe nel consegnare l’accusato “al giudice penale per farlo punire o rinviare a giudizio davanti alla Corte itinerante”.

Il rapporto aggiunge che “questi sembrano essere procedimenti tediosi, applicabili solo a una classe di reati, l’abuso di autorità — e precisamente, solo tra le cariche di polizia — e del tutto inadeguati alle necessità del caso”.

Un funzionario delle tasse o di polizia, che sono la stessa persona dato che le tasse sono riscosse dalla polizia, quand’è accusato di estorsione di denaro è in primo luogo giudicato dall’assistente esattore; costui si può poi appellare all’esattore, e poi al comitato fiscale. Questo comitato può deferirlo al governo o al giudice civile. “In una simile situazione legislativa, nessun povero coltivatore indiano potrebbe contestare un qualsiasi ricco funzionario delle tasse; e non ci è giunta notizia di lamentele che siano state avanzate secondo questi due regolamenti (del 1822 e 1828) da parte del popolo”.

Inoltre, queste estorsioni di denaro si applicano solo al prendere i soldi pubblici, o al costringere un’ulteriore contribuzione dai coltivatori direttamente alle tasche del funzionario. Non c’è, pertanto, proprio alcun mezzo legale per punire l’uso della forza nella riscossione delle pubbliche imposte.

Il rapporto da cui queste citazioni sono tratte riguarda solo la Presidenza di Madras; ma lo stesso Lord Dalhousie, scrivendo ai direttori nel settembre 1855, dice che “da molto ha smesso di dubitare che la tortura in una forma o nell’altra non sia praticata dai più bassi in grado in ogni provincia britannica”.

L’esistenza generalizzata della tortura come istituzione finanziaria dell’India britannica è quindi ufficialmente ammessa, ma l’ammissione è fatta in una maniera tale da mettere al riparo lo stesso governo inglese. In effetti, la conclusione cui arriva la commissione di Madras è che la pratica della tortura è colpa interamente degli agenti indù più bassi in grado, mentre i servitori europei del governo hanno sempre, sebbene senza successo, fatto del loro meglio per impedirla. In risposta a questa affermazione, l’Associazione nativi di Madras ha presentato nel gennaio 1856 una petizione al Parlamento, lamentandosi dell’indagine sulle torture per i seguenti motivi: 1. Perché non c’è stata praticamente alcuna indagine, la Commissione essendosi insediata soltanto nella città di Madras e per solo tre mesi mentre, eccetto alcuni rarissimi casi, era impossibile per i nativi che avessero lamentele da fare riuscire a lasciare le proprie case; 2. Perché i commissari non hanno cercato in tutti i modi di capire le radici del male; se l’avessero fatto, le avrebbero scoperte nello stesso sistema di riscossione delle tasse; 3. Perché non è stata fatta nessuna inchiesta sui funzionari nativi accusati riguardo fino a che punto i loro superiori fossero a conoscenza della pratica. “L’origine di questa coercizione”, dicono i richiedenti, “non è in coloro che fisicamente la perpetrano, ma discende fino a loro dai funzionari a loro immediatamente superiori, i quali ultimi a loro volta rispondono per l’ammontare stimato di riscossione ai loro superiori europei, costoro responsabili per la stessa voce verso l’autorità massima del governo”.

Infatti, alcuni estratti dalle prove su cui il Rapporto di Madras sostiene di basarsi basteranno a confutarlo dove asserisce che “nessun biasimo è dovuto agli inglesi”. Così, il signor W. D. Kohlhoff, operatore commerciale, dice: “Le modalità di tortura impiegate sono varie, e seguono la fantasia del tahsildar o dei suoi subordinati, ma se un qualche indennizzo venga elargito delle autorità più alte in grado per me è difficile dirlo, dato che tutte le lamentele sono generalmente rimandate ai tahsildar per indagini e informazioni”.

Tra i casi di lamentela dei nativi, troviamo il seguente: La scorsa annata, il nostro peasanum (raccolto principale di riso) è andato male per la mancanza d’acqua, non eravamo in grado di pagare come al solito. Al momento della redazione del jamabundy abbiamo richiesto una riduzione in ragione delle perdite, secondo i termini dell’accordo firmato nel 1837 da noi, quando il signor Eden era il nostro esattore. Dato che questa riduzione non è stata concessa, ci siamo rifiutati di prendere le nostre puttah. Il tahsildar allora ha cominciato a imporci di pagare con grande durezza, dal mese di giugno ad agosto. Io e altri eravamo scortati da persone che ci portavano sotto il sole. Là ci dovevamo chinare e ci mettevano delle pietre sulla schiena e ci lasciavano nella sabbia rovente. Dopo le 8 ci lasciavano tornare al nostro riso. Trattamenti crudeli come questo sono andati avanti per tre mesi, durante i quali a volte siamo andati a portare le nostre petizioni all’esattore, che si è rifiutato di riceverle. Abbiamo preso le petizioni e ci siamo appellati alla Corte delle Sessioni, che le ha trasmesse all’esattore. E ancora non abbiamo avuto giustizia. Nel mese di settembre ci è stato dato un preavviso e venticinque giorni dopo la nostra proprietà è stata sequestrata e in seguito venduta. Oltre a quanto ho detto, anche le nostre donne sono state maltrattate; hanno messo a tutte il kittee sul petto.

Un nativo cristiano afferma in risposta alle questioni poste dai Commissari: “ Quando un reggimento europeo o nativo passa, tutti i coltivatori sono sollecitati a portare rifornimenti, ecc. gratuitamente, e se qualcuno dovesse chiedere il prezzo di quanto dà, viene torturato crudelmente”.

Segue il caso di un bramino, in cui egli, con altri del suo villaggio e di villaggi vicini, è stato chiamato dai tahsildar a fornire gratis assi di legno, carbone, legna da ardere, ecc., perché potessero proseguire i lavori del ponte di Coleroon; al suo rifiuto, viene preso da dodici uomini e malmenato in diversi modi. Aggiunge: “Ho presentato reclamo al sottoesattore, il signor W. Cadell, ma lui non mi ha domandato niente e ha strappato il mio reclamo. Dato che è desideroso di completare i lavori al ponte di Coleroon in economia a spese dei poveri e di acquisire un buon nome di fronte al governo, qualsiasi sia la natura del crimine commesso dal tahsildar non vuole averne conoscenza alcuna”.

La luce sotto cui le pratiche illegali, portate al loro limite estremo dell’estorsione e della violenza, sono state viste dalle massime autorità è molto ben evidenziata dal caso del signor Brereton, commissario in carica del distretto di Loodhiana nel Punjaub nel 1855. Secondo il rapporto del commissario capo del Punjaub, è stato provato che nelle materie di immediata conoscenza o sotto la direzione del vicecommissario, lo stesso signor Brereton, le case dei cittadini abbienti sono state perquisite senza motivo; che la proprietà requisita in tali circostanze è stata detenuta per periodi prolungati; che molte delle parti sono state gettate in prigione e sono lì rimaste per settimane senza che fossero loro state formulate delle accuse; e che le leggi relative alla sicurezza per indole violenta sono state applicate con severità immensa e indiscriminata. Che il vicecommissario era seguito di distretto in distretto da certi agenti di polizia e informatori, i quali egli impiegava ovunque andasse, e che questi uomini sono stati i principali autori dei misfatti.

Nelle sue minute del caso, Lord Dalhousie scrive:

Abbiamo prove irrefragabili — prove, infatti, non contestate neanche dallo stesso signor Brereton — che quel funzionario è stato colpevole di ogni articolo in quel pesante catalogo di irregolarità e illegalità col quale il commissario capo lo ha accusato, e che ha gettato infamia su una parte dell’amministrazione britannica e ha sottoposto un gran numero di sudditi britannici a grossolane ingiustizie, detenzioni arbitrarie e torture crudeli.

Lord Dalhousie propone “di dare grande e pubblico esempio” e, di conseguenza, è dell’opinione che “il signor Brereton non può, al momento , essere opportunamente investito dell’autorità di vicecommissario, ma dev’essere rimosso da quel grado al grado di assistente di prima classe”.

Possiamo concludere questi stralci dagli atti parlamentari con la petizione degli abitanti di Talook nel Canara, sulla costa di Malabar, i quali dopo aver affermato che hanno presentato diverse petizioni al governo senza ottenere niente, così lottano contro la loro passata e presente condizione:

Mentre coltivavamo terreni asciutti e umidi, tratti collinari, tratti pianeggianti e foreste, pagando il lieve contributo di miglioria fissato per noi, e perciò godendo di tranquillità e gioia sotto l’amministrazione di “Ranee”, Bhadur e Tippoo, gli allora funzionari del Circar hanno imposto un contributo addizionale che però non abbiamo mai pagato. Non eravamo soggetti a privazioni, oppressioni o maltrattamenti nella riscossione delle tasse. Alla resa di questo paese all’Onorevole Compagnia, questa ha escogitato ogni sorta di metodi per spremerci dei soldi. Con questo deleterio obiettivo in mente hanno inventato norme e concepito regolamenti, e hanno istruito i loro esattori e giudici civili per farli eseguire. Ma gli allora esattori e i loro funzionari subordinati nativi hanno fatto per un po’ la dovuta attenzione alle nostre lagnanze e hanno agito in consonanza con i nostri desideri. Al contrario, gli attuali esattori e i loro funzionari subordinati, desiderosi di ottenere una promozione a qualsiasi costo, trascurano il benessere e gli interessi del popolo in generale, fanno orecchie da mercante alle nostre lagnanze e ci fanno subire ogni sorta di oppressione.

Non abbiamo riferito qui che un breve capitolo a tinte tenui della vera storia del dominio britannico in India. Alla luce di questi fatti, le persone imparziali e riflessive possono forse essere portare a chiedersi se per un popolo non sia giustificato il tentativo di espellere il conquistatore straniero che ha a tal punto abusato dei suoi sudditi. E se gli inglesi possono fare cose del genere a sangue freddo, può sorprendere che gli insorti indù siano colpevoli, nella furia della rivolta e del conflitto, dei crimini e delle crudeltà che si dice abbiano subito?



Ultima modifica 2021.02.17