Rassegna dei giornali tedeschi

Karl Marx (1844)


Delle dodici anonime note critiche e satiriche sui giornali tedeschi pubblicate negli Annali franco-tedeschi, le seguenti quattro sono attribuite a Marx dalla critica per motivi di forma (l'uso di nomi e termini della letteratura classica in senso ironico), per la dialettica abile, per le note sul comunismo tedesco.
Versione di Leonardo M. Battisti, Novembre 2017


La «Gazzetta di Brema»
Questo giovane giornale1 ha scoperto a Berlino un vero fiore del buon vecchio stile del 1813-1815, un corrispon­dente non solo senza colpa bensì addirittura senza menda, un Baiardo della buona stampa. Rispetto a lui, il corrispondente ⩍ della Gazzetta di Augusta (che ha compreso l'Ordine del Cigno e il metodo diesterwegico2 del­l'insegnamento universitario dialogico) è un mero artigiano. Il signor Guizot avrebbe minacciato il ritiro da Berlino dell'amba­sciatore a causa del duca di Bordeaux3. «Né il diritto pubblico», dice il Baiardo, «né la convenzionale etichetta autorizzano la Francia a una tale mi­naccia, che noi dobbiamo considerare come un formale sopruso, di cui non ci aspettiamo l'accettazione supina dal gabinetto e dalla corte né austriaci né prussiani. Chi mai vorrà impedire al sovrano re di Prussia di ricevere nel nuovo palazzo d'inverno il pronipote di Maria Teresa4 e di ospitarlo? Pare che da varie sedi diplomatiche protesteranno contro quelle dichia­razioni del signor Guizot». E: «Essendo la supina accettazione rifiutata dalle principali sedi diplomatiche, tutta la questione parrà come un'offesa contro l'eti­chetta convenzionale»5. Lo stile è tedesco, bremese, affatto iniziato agli ambienti diplomatici. E l'uomo che rappresenta tale stile centralizzato, concentrato, elettrizzato; codesto diplomatico non pe­riferico, porterà la Gazzetta di Brema alla «supina accettazione» di tutta l'Europa. La si leggerà per mantenersi sani.

«Rivoglio la mia coperta»
Lo stesso corrispondente ordinario scrive da Berlino sulla Gazzetta di Brema (n°26, 26 gennaio 1844): «A Sanssouci il re vive in stanze polverose, con un arredo appena bastevole al più semplice borghese. Sullo scrittoio del re è stesa una coperta mezza bucherellata e quasi trasparente. Allorché, recentemente, il premuroso cameriere segreto sostituì questa coperta (già usata da Federico il Grande) con un'altra moderna e sfarzosa, il re si adirò fortemente e gridò: "Rivoglio la mia coperta! Di cose nuove ne trovo dovunque, ma chi mi ridarà ciò che è già servito ai miei avi?"». Per rendere piccanti i giornali (anziché capitar qualcosa) serve trovar un corrispondente che abbia visto i vestiti delle dame di corte, o che conosca il re o il suo came­riere (meglio ancora se è lui stesso il cameriere). Perché ora, in certi ambienti diplomatici, vi sono eroi solo per i camerieri.

Il comunismo alla tedesca
La Gazzetta di Treviri (n°26, 26 gennaio 1844) mercé un intelli­gente giovane berlinese, prova che il comunismo è origi­nariamente tedesco. «Nella sua lezione di ieri, il Magister M.6 distrusse il delirio febbrile della debolezza tedesca, che ha visto nel comunismo uno spettro straniero. Con molti fatti provò che il comunismo e il socialismo sono sana progenie dello spirito tedesco, non un'arbitraria invenzione francese». Berlino si riconferma la città più intelligente del mondo.

Il comunismo dell'Ordine del Cigno7 e del lusso di corte di Berlino
Il comunismo è salito rapidamente agli onori. È divenuto te­desco, è perso. Il Baiardo bremese e il corrispondente ⩍ della Gazzetta di Augusta (n°26, 26 gennaio 1844) si incontrano nello sforzo di dipingere il re di Prussia come l'uomo che ha risolto la questione comunista (a sentir questo, mercé un ordine religioso; a sentir quello mercé il lusso ben calcolato). «Da un lato il nostro monarca è affatto convinto che il regno abbisogni di un degno apparato di splendore, specie ai giorni nostri (benché egli empiamente lo disprezzi); dall'altro crede che tale apparato sia da integrare con il benessere degli operai e della società. In passato, l'abbigliamento delle nostre dame di corte era trascurato in un modo tale da aver un'influenza negativa sullo stato degli operai; ora ciò è affatto mutato e (certo con sacrifici spesso gravosi) pure in tal senso si sta svilup­pando un lusso grandioso». Per la Gazzetta di Brema, l'arrivo del lusso rimedia a ogni male. Che sciocchezza! Allora l'Ordine del Cigno sarebbe stato vano? La grande questione dell'Ordine del Cigno era ignota finché non ne parlò il corrispondente ⩍ della Gazzetta di Augusta. Se il corrispondente bremese è brutale come Achille, il corrispondente ⩍ è sottile come Ulisse, con uno stile da Cicerone, un ingegno da seminarista, una prosa da Klopstock del nuovo Mes­sia8 regale. Apriamo con cautela uno dei suoi molti rubinetti di miele: la Gazzetta di Augusta, n°19, 19 gen­naio 1844, supplemento: Sulla restaurazione della società dell'Ordine del Cigno. Ed ecco che il miele scorre: «Oggi più di ieri deve esser esercitato il primo e più santo diritto fin dalla fondazione del regno cristiano: la difesa e la protezione delle vedove e degli orfani, degli oppressi e dei miseri. Un principe che fa della sua corona il centro di tali sforzi, dal cui successo (dell'Ordine del Cigno?) può dipendere il futuro dell'Europa, palesa una salda fiducia in una meta felice cui conducono le vie aperte dai popoli iniziate di recente; fiducia che così sarà d'uopo risvegliata in molti animi, che si radicherà in lungo e in largo nel popolo; che diverrà l'arma contro chi ha fondato i suoi piani criminosi sulle fatiche e sui mali coevi per scon­volgere l'ordine». Che arte! Che cultura! Egli dice tutto: non solo che il re è il principale comunista, ma anche che «il cigno è scelto come emblema della società quando annuncia la propria fine, onde ognuno consideri la propria fine». Se non pensasse e scrivesse in modo così scolastico e non fosse così noioso da leggere, il corrispondente ⩍ sarebbe stimato uno smaliziato. Cosa dice infatti? Solo che: «Se il regno cristiano pensa di guidare la rivoluzione del vecchio mondo con l'Ordine del Cigno, deve solo considerare la sua fine». E chi è «ognuno»? Certo anche il re? Che vafro schiavo di casa! Ma noi non desideriamo che l'Ordine del Cigno sia il canto del cigno del re di Prussia; anzi, speriamo di vederlo procedere ancora per anni sulla sua buona via. Gli adu­latori prevedono qualcosa del suo destino, ma gli spiriti liberi lo vedono coi loro occhi.

Note

1. Die Bremer Zeitung für Staats-, Gelehrten- und Handelssachen: pubblicata a Brema dal 1813 al 1848 dal libraio Johann Georg Heyse.

2. Friedrich Adolf W. Diesterweg [1790-1866]: pedagogista di Siegen.

3. Enrico di Borbone [1820-1883]: duca di Bordeaux (di cui nel 1830 ebbe l'effimero titolo reale di Enrico V). Più noto come conte di Chambord.

4. Il duca di Bordeaux discendeva dall'imperatrice d'Austria, poiché sua madre (duchessa di Berry Carolina Ferdinanda dei Borboni di Napoli) era figlia di re Francesco I, a sua volta nato da Maria Carolina d'Austria [1752-1814], figlia di Maria Teresa.

5. I due passi sono citati dalla Gazzetta di Brema n° 23 (23 gennaio 1844), in una corrispondenza anonima da Berlino datata 17 gennaio.

6. Magister (professore universitario) è Theodor Mundt [1808-1861], di Postdam, scrittore rappresentante della corrente letteraria “Giovane Germania”.

7. Nel 1843 Federico Guglielmo IV cercò di rifondare l'Ordine cavalleresco del Cigno (fondato nel 1440) come ordine secolare di carità, ma non entrò mai in vigore.

8. Friedrich Gottlob Klopstock [1724-1803] di Quedlinbourg: autore del poema: Der Messias.


Ultima modifica 2019.06.26