Un carteggio del 1843


Queste lettere furono pubblicate da Ruge negli Annali franco-tedeschi per stabilire una certa unità di tendenze e di dottrina fra i principali redattori tedeschi della rivista. Per ottenere l'omogenizzazione Ruge modificò le lettere in modo tale che furono ripudiate da Marx, il quale in esse risulta comunque l'animatore dell'impresa editoriale. Ruge restò inattivo perché ammalato durante la redazione degli Annali, della quale si lamentò perché non corrispondente al suo Piano degli Annali franco-tedeschi (liberale e umanitario anziché comunista) con cui essi iniziano.

Traduzione di Ettore Ciccotti (†1939) in: Marx-Engels-Lassalle, Opere, Milano, Soc. Ed. «Avanti!», vol. I, 1914, pp. 2-22.

Trascritto da Leonardo Maria Battisti, aprile 2021


Marx a Ruge1.

Trechschuit nach D., marzo 1843.

Io viaggio in Olanda. A quanto veggo da' giornali francesi e da (17) quelli di qua, la Germania è sprofondata nel fango e vi si sprofonda ancora sempre più. Io l'assicuro che, per quanto si sia poco disposti a sentire l'orgoglio nazionale, si sente tuttavia la vergogna nazionale; e in Olanda di più.

Il piccolissimo Olandese è ancora un cittadino, rispetto al grandissimo Tedesco. E i giudizi degli stranieri sul governo prussiano! Vi è uno spaventevole consenso; nessuno s'illude più su questo sistema e sulla sua vera natura. Tuttavia a qualche cosa ha giovato anche la nuova scuola. Il pomposo manto del liberalismo è caduto e il più ripugnante dispotismo sta in tutta la sua nudità innanzi agli sguardi di tutto il mondo.

Questa è anche una rivelazione, comunque a rovescio. È una verità che c'insegna almeno la vacuità del nostro patriottismo, l'indole contro natura del nostro Stato e c'insegna forse a covrirci il viso. Ella mi guarda sorridendo e domanda: che cosa si guadagna con ciò? Per vergogna non si fa una rivoluzione; essa è realmente la vittoria della Rivoluzione francese sul patriottismo tedesco, da cui quella fu vinta nel 1813. La vergogna è una specie di sdegno ritorto in sè stesso.

E quando una nazione si vergognasse davvero, essa sarebbe come il leone che si ritrae in sè stesso per ispiccare il salto. Io lo concedo, la vergogna non si sente presentemente in Germania; al contrario, questi sciagurati sono ancora patriotti. Ma qual sistema dovrebbe purgarli dal patriottismo se non questo ridicolo del nuovo cavaliere? La commedia del dispotismo, che si recita con noi, è pur essa tanto pericolosa, come fu già la tragedia per gli Stuardi e i Borboni (18). E anche se per lungo tempo questa commedia non la si dovesse considerare per quello che è, tuttavia sarebbe già una rivoluzione. Lo Stato è una cosa tanto seria che non può essere ridotto a un'arlecchinata. Si potrebbe forse lasciare per un po' di tempo in balìa del vento una nave piena di matti; ma essa andrebbe incontro al suo destino proprio per questo, perchè i matti non lo credevano. Questo destino è la rivoluzione, che ci sta dinanzi.

Ruge a Marx.

Berlino, marzo 1843.

«È una dura parola, eppure io la dico perchè è la verità: io non so immaginarmi nessun popolo che sia fatto a pezzi come i Tedeschi. Tu vedi operai ma non uomini, pensatori ma non uomini, padroni e servi, giovani e gente basata, ma non uomini. — Non è questo un campo di battaglia, dove mani, braccia e tutte le membra recise stanno commiste l'una all'altra, mentre il sangue della vita versato scorre nella polvere?»

Hölderlin nell'Hyperion. — Questo è il motto del mio voto e disgraziatamente non è nuovo; lo stesso oggetto da tempo a tempo opera similmente sugli uomini. La Sua lettera è un'illusione. Il Suo coraggio mi disanima soltanto ancora più.

Vivremo noi tanto da vedere una rivoluzione politica? Noi, i contemporanei di questi Tedeschi? Amico mio, Ella crede ciò che desidera. Oh! io conosco tutto questo! È tanto dolce lo sperare e tanto amaro disfarsi di tutte le illusioni. Occorre maggior coraggio per disperare che non per sperare. Ma è il coraggio della ragione, e noi siamo arrivati al punto in cui non possiamo illuderci più. Che ci tocca vedere in questo momento? Una seconda edizione de' deliberati di Karlsbad, una edizione accresciuta per l'omissione della promessa libertà di stampa e migliorata per la promessa della censura, — un secondo scacco di tentativo di libertà politica, e questa volta senza Lipsia e Bellealliance, senza sforzi, di cui avessimo motivo di riposarci. Ora ci riposiamo dall'inquietudine; e ci conduce alla calma la semplice ripetizione dell'antica massima dispotica, la trascrizione de' suoi diplomi. Noi cadiamo di uno in un altro smacco. Io ho completamente lo stesso senso di oppressione e di avvilimento, come al (19) tempo della conquista napoleonica, quando la Russia impose una severa censura alla stampa tedesca; e, se noi vogliamo trovare un confronto nel fatto che noi ora abbiamo la stessa schiettezza d'allora, ciò non mi consola punto. Quando Napoleone in Erfurt a' Tedeschi congratulantisi, che lo chiamavano notre prince, diceva: je ne suis pas votre prince, je suis votre maitre: fu accolto con un mormorio di applausi. E, se la neve russa non gli avesse data una risposta in proposito, il corruccio tedesco dormirebbe ancora. Non mi dica che questa impudente parola fu vendicata sanguinosamente; non mi dica che la casuale vendetta sarebbe seguita necessariamente, che tutti i popoli si sarebbero ribellati al nudo e puro dispotismo, appena esso si fosse svelato completamente. Io voglio vedere un popolo che senta il suo scorno senza gli altri popoli; io chiamo rivoluzione il destarsi di tutti i cuori e il sollevarsi di tutte le mani per l'onore dell'uomo libero, per lo Stato libero, che non appartiene ad alcun padrone ma è la stessa cosa pubblica che appartiene a sè stessa. Così lontano i Tedeschi non vanno mai. Da lungo tempo sono caduti storicamente. Che si siano trovati dovunque, in campo, non prova nulla. A' popoli conquistati e dominati non è risparmiato di battersi, ma così sono solo gladiatori che si battono per uno scopo ad essi estraneo e si scannano se i loro padroni abbassano il pollice. «Guardate come il popolo si batte per noi!» disse nel 1813 il re di Prussia. La Germania non è l'erede che sopravvive, ma l'eredità che si deve adire. I Tedeschi non contano per partiti combattenti, ma per numero d'anime che ivi si deve vendere.

Ella dice che l'ipocrisia liberale è sbugiardata. È vero; anzi è accaduto qualche cosa di più. Gli uomini si sentono contristati ed offesi. Si odono amici e conoscenti ragionar tra loro; dovunque, si discorre della sorte degli Stuarts, e, chi paventa di pronunziare parole non ben calcolate, crolla almeno il capo per mostrare che avviene in lui un certo movimento. Ma tutto si riduce a discorsi, e soltanto a discorsi: vi è uno almeno, il quale confidi al suo malcontento ch'esso è universale? Vi è un solo così matto da disconoscere i nostri borghesi di vecchio stampo e la loro invincibile pazienza pecorina? — Cinquant'anni dopo la Rivoluzione francese e la rinnovazione di tutte le vergogne dell'antico dispotismo, che noi abbiamo vissuto abbastanza per vedere. Non mi dica che il secolo decimonono non lo tollera: i Tedeschi hanno risoluto questo problema. (20) Non solo lo tollerano, ma lo sopportano con patriottismo, e noi, che ne arrossiamo, sappiamo benissimo che lo meritano. Chi non avrebbe pensato che questo ricadere recisamente dalla facoltà di parlare nel silenzio, dalla speranza nella rinunzia ad ogni speranza, da uno stato umano in una condizione interamente servile non avrebbe messo in movimento tutti gli spiriti vitali, non avrebbe fatto affluire il sangue al cuore di ognuno ed evocato un generale grido di sdegno! Il Tedesco non aveva altro che la libertà spirituale, che può pur sempre avere l'uomo servo di un altro, ed anche questa ora gli è stata tolta; i filosofi tedeschi erano già da prima servi degli uomini; essi parlavano e tacevano secondo il comando: Kant ce ne ha dati i documenti. Ma si tollerava l'ardimento pel quale in astratto dichiaravano libero l'uomo. Ora è tolta anche questa libertà, la così detta scientifica o di principio, che è paga di non realizzarsi; e si è trovata molta buona gente, che predica il credo del Tasso:

Non crediate che l'alito selvaggio
Di libertà mi gonfi il petto. L'uomo
Non è per esser libero creato.
E il nobile non ha sorte più bella
Del servire ai' sovrano che l'onora.

Vogliamo noi obbiettare: E se non l'onora? Allora essi replicano: Egli non è nato per essere libero. Si tratta della sua concezione, non della sua fortuna. Sì — il Tasso ha ragione — un uomo che serve ad un uomo e che è chiamato schiavo, può sentirsi felice; egli può anzi sentirsi nobile; la storia e la Turchia lo provano. Dato dunque che, non uomo od essere libero, ma uomo e servo sono un solo concetto, l'antico mondo è giustificato.

Contro il fatto che gli uomini sieno nati per servire e che sieno una proprietà di quelli che sono nati loro padroni, i Tedeschi non avevano nulla da opporre 25 anni dopo la Rivoluzione. I principi tedeschi si sono uniti per restaurare la loro proprietà privata di terre e di popoli e per abrogare di nuovo «i diritti dell'uomo».

Questo era anti-francese; e si applaudiva. Dietro se ne viene la teoria di questo fatto; e perchè la Germania dovrebbe prestarle ascolto senza repugnanza? Perché non dovrebbe consolarsi della sua sorte col pensiero (21) che così dev'essere, poiché l'uomo non è nato per essere libero?

È così: realmente questa razza non è nata per essere libera. Trent'anni di politica desolazione e di un'oppressione così avvilente, che anche i pensieri ed i sentimenti degli uomini erano sorvegliati e regolati dalla polizia segreta della censura, hanno politicamente lasciata la Germania in uno stato di annullamento mai veduto. Ella dice che il vascello de' matti, posto in balia del vento e de' flutti, non isfuggirà al suo destino e questo destino è la rivoluzione. Ma Ella non aggiunge che questa rivoluzione costituisce la guarigione de' matti; al contrario la loro fantasia mena soltanto al pensiero della fine. Ma io non Le concedo che la fine si debba ancora fare attendere. Fisicamente questo utile popolo non perisce: e spiritualmente o come popolo libero è finito da lungo tempo.

Se io giudico la Germania secondo la sua storia passata e la presente, Ella non mi opporrà che tutta la sua storia sia falsificata e tutta la odierna vita politica rispecchi il vero stato del popolo. Legga i giornali che vuole e si persuaderà che non si cessa — ed Ella mi concederà che la censura a nessuno vieta di cessare — di lodare la libertà e la sorte nazionale che noi possediamo; e dica poi a un Inglese, a un Francese o anche soltanto a un Olandese che questa non sia colpa nostra e nostro carattere.

Lo spirito tedesco, per quanto si mostra, è vile, e io non ho ritegno a sostenere, che non appare niente di diverso; la colpa è soltanto della sua natura vile. O vogliamo valutare così altamente la sua esistenza privata, i suoi taciti meriti, i suoi discorsi famigliari non dati alla stampa, come l'onta della sua condizione presente potesse essere lavata dall'onore del suo avvenire? Oh! questo avvenire tedesco! Dove è piantato il suo seme? Forse nella storia piena d'onta, che abbiamo vissuta sinora? O nella sfiducia di quelli che hanno un concetto di libertà e di onore storico? O nel disprezzo che popoli stranieri versano su noi e che ci fanno sentire nella maniera più sensibile, quando mostrano la migliore opinione di noi? Poichè essi non possono immaginarsi il grado d'insensibilità e di degenerazione, in cui realmente siamo caduti. Legga soltanto (22) ciò che dice il Tenier sull'oppressione della stampa in Prussia. Legga, come fanno uomini liberi, legga quanto amor proprio ancora ci accorda, a noi che non ne possediamo nessuno, e Lei compiangerà la Prussia, compiangerà la Germania. Io so che anch'io vi appartengo: non creda che io mi voglia sottrarre all'onta generale. Mi rimproveri che io non faccio meglio degli altri, mi esorti a evocare un nuovo tempo col nuovo principio e ad essere uno scrittore, poichè segue un secolo libero; mi dica ogni cosa più amara, io vi sono rassegnato. Il nostro popolo non ha più alcun avvenire: che importa al nostro nome?

Marx a Ruge.

Köln, maggio 1843.

La sua lettera, mio caro amico, è una buona elegia, un canto funereo che toglie il fiato; ma politica non è nè punto nè poco. Nessun popolo dispera; e, se anche dovesse sperare lungo tempo per insipienza, pure dopo molti anni realizza per subitanea prudenza tutti i suoi pii desideri.

Tuttavia. Ella mi ha messo sullo sdrucciolo; il suo tèma non è esaurito; io voglio aggiungere il finale; e, quando tutto è finito, allora mi porga la mano perchè possiamo ricominciare da capo. Lasciamo i morti a seppellire e piangere i morti. All'incontro, è degno d'invidia essere i primi a iniziare i vivi nella nuova vita: questo dev'essere il compito nostro.

È vero, il vecchio mondo appartiene al filisteo. Ma noi non dobbiamo trattarlo come uno spauracchio, da cui si torce spaventato lo sguardo. Noi dobbiamo piuttosto affissarlo nell'occhio: val la pena di studiare questi padroni del mondo.

Padrone del mondo, di certo, egli è solamente, in quanto l'occupa con la sua compagnia, come i vermi fanno col cadavere. La società di questi signori perciò non ha bisogno di altro che di un certo numero di schiavi, i proprietari degli schiavi non hanno bisogno di essere liberi. Se, a cagione del loro diritto di proprietà su di uomini e terre, sono chiamati signori in senso eminente, per ciò stesso non sono filistei meno della loro gente.

Uomini, sarebbero qualche cosa di (23) spirituale, liberi uomini repubblicani. I borghesi tagliati all'antica non vogliono essere nè l'una cosa, nè l'altra: che cosa possono dunque essere e volere?

Ciò ch'essi vogliono — vivere e riprodursi — e più oltre, dice Göthe, non va nessuno di loro — lo vuole anche l'animale : al più un politico tedesco aggiungerebbe che un uomo sa che lo vuole, e il tedesco pensa di non volere nient'altro.

Il sentimento che l'uomo ha dell'esser suo, la libertà, avrebbe bisogno di essere ancora svegliato nel petto di questi uomini. Solo con questo sentimento, che con i Greci svanisce fuori del mondo e col Cristianesimo nell'azzurro vapore del cielo, si può di nuovo fare della società una comunione di uomini unita per raggiungere i suoi scopi più elevati, uno stato democratico.

Gli uomini, invece, che non si sentono uomini, crescono per i loro padroni, come una razza di schiavi, di cavalli. I signori di razza sono lo scopo di tutta questa società. Questo mondo appartiene a loro: essi lo prendono com'è e come si sente. Anch'essi, si prendono così come si trovano; e si adagiano, dove i loro piedi sono cresciuti, sulle spalle di queste bestie politiche, che non conoscono altro destino fuorchè quello di essere loro «soggetti, docili e sorridenti».

Il mondo de' filistei è il mondo politico animale, e, se noi dobbiamo riconoscere la sua esistenza, non ci resta che prendere semplicemente atto dello statu quo. Secoli barbarici l'hanno prodotto e formato, e ora sta là come un sistema conseguente, il cui principio è l'umanità torta da' suoi fini. Il più compiuto mondo filisteo, la nostra Germania, doveva quindi restare assai indietro della Rivoluzione francese, che reintegrò l'uomo; e il tedesco Aristotile, che volesse dedurre la sua politica dalle nostre condizioni, dovrebbe scrivervi in testa: «L'uomo è un animale sociale, ma completamente impolitico»; ma non potrebbe definire lo Stato meglio di quel che ha fatto recentemente il signor Zöpfl, l'autore del «Diritto pubblico costituzionale in Germania». Lo Stato è, secondo lui, una «unione di famiglie», che — continuiamo noi — appartiene ereditariamente, in proprietà, ad una famiglia più elevata di tutte, la quale si chiama dinastia. Quanto più le famiglie si mostrano feconde, tanto più la gente è felice, tanto più grande è lo Stato. tanto più potente la dinastia, onde anche nello Stato di Prussia, normalmente (24) più dispotico, vi è un premio di 50 risdalleri assegnato a chi ha sette figli.

I Tedeschi sono così consapevoli realisti, che tutti i loro desideri e i loro pensieri più sublimi non vanno oltre la nuda esistenza. E questa realtà, niente d'altro, accettano quelli che li reggono. Anche questi sono realisti; essi sono ben remoti da ogni pensiero e da ogni grandezza umana, abitualmente ufficiali e signorotti di campagna, ma essi non si sbagliano, hanno ragione, e, così come sono, giungono completamente a sfruttare questo mondo animale, a dominarlo, poichè dominazione e sfruttamento, qui come da per tutto, sono una cosa sola. E quando essi si fanno rendere omaggio e guardano dall'alto in basso su queste brulicanti teste senza cervello, il pensiero che prima si presenta, è quello di Napoleone alla Beresina? Si dice che egli avrebbe accennato al bulicame de' naufraghi e avrebbe detto al suo compagno: Voyez ces crapauds! Questa insinuazione verosimilmente è una menzogna, ma non vi è niente di meno vero. L'unico pensiero del dispotismo è il disprezzo dell'uomo, l'uomo che cessa di esser tale; e questo pensiero ha, rispetto a molti altri, il privilegio di essere, al tempo stesso, un fatto. Il despota vede sempre gli uomini avviliti. Essi affondano innanzi a' suoi occhi, e per lui nulla muta della vita solita, da cui anche, al pari delle rane, tornano sempre a far capolino. Se questo modo di vedere preme anche uomini capaci di grandi scopi, com'era Napoleone prima della sua folle dinastia, come uno de' soliti re dovrebbe essere idealista in una tale realtà?

Il principio della monarchia è sopratutto l'uomo sprezzato e spregevole, spogliato della sua caratteristica d'uomo; e Montesquieu ha assai torto a spacciar questo principio per onore. Egli si contenta della distinzione di monarchia, dispotismo e tirannia. Ma questi sono nomi di un solo concetto; tutt'al più una varietà di costumi nello stesso principio. Dove il principio monarchico è in prevalenza, là gli uomini sono in minoranza; dove non è messo in forse, non vi sono punto uomini. Perchè ora un uomo come il re di Prussia, che non ha prova di essere reso problematico, non dovrebbe seguire semplicemente il suo capriccio? E se lo fa, quale conseguenza ne viene? Modi di vedere opposti? Bene, non ne segue nulla. Tendenze impotenti? Esse sono per sempre la sola realtà politica. Censure e imbarazzi? Non vi è che una censura e un imbarazzo: l'essere precepitato (25) dal trono. Finchè il capriccio riesce a rimanere al suo posto, ha ragione. Ivi può essere leggero, sventato, spregevole come vuole: è sempre buono abbastanza da reggere un popolo, che non ha mai conosciuto altra legge fiori dell'arbitrio de' suoi re. Io non dico che un sistema di sventatezza e di mancanza di ogni riguardo all'interno e all'esterno rimarrebbe senza conseguenza: io non assumo su me l'assicurazione del vascello de' matti; ma io sostengo che il re di Prussia sarà un uomo del suo tempo finché il mondo a rovescio sarà il mondo reale.

Ella sa che io mi occupo molto di quest'uomo. Già da quando egli aveva per suo organo il Berliner politische Wochenblatt, io riconobbi il suo valore e la sua vocazione. Con l'omaggio reso a Königsberg egli giustificò già la mia supposizione che ora la questione sarebbe puramente personale. Egli dichiarò il suo cuore e il suo animo per la futura legge fondamentale de' dominî di Prussia, del suo Stato; e, in realtà, il re in Prussia è il sistema. Egli è la sola persona politica: la sua personalità determina il sistema in questa o in quella maniera. Ciò che egli fa o ciò gli si lascia fare; ciò che pensa o ciò che gli si mette in bocca è ciò che lo Stato fa o pensa in Prussia. È questo realmente un merito, che il re, l'abbia dichiarato, così, senza circonlocuzioni.

Per qualche tempo si vagò nell'errore di credere che si dovesse dare importanza a' desideri e a' pensieri che il re esprimeva pro forma. In realtà questo non poteva mutar nulla: il filisteo è il materiale della monarchia e il monarca è sempre il re de' filistei soltanto: egli quindi non può fare della sua gente de' liberi e veri uomini, se l'una e l'altra parte debbono rimanere ciò che sono.

Il re di Prussia ha tentato di mutare il sistema con una teoria che realmente suo padre non aveva in questa forma. La sorte di questo tentativo è nota: esso è completamente andato a vuoto. Naturalmente. Quando si è giunti al mondo politico animale, non vi può essere altra reazione se non quella che lo riconduca al punto in cui non è possibile alcun altro avanzamento che non sia l'abbandono di quella sua base e il passaggio al mondo umano della democrazia.

Il vecchio re non voleva niente d'extravagantes: egli era un filisteo e non aveva pretenzioni di spiritualità. Egli sapeva che lo Stato di servi e il suo possesso avevano bisogno soltanto della prosaica, tranquilla esistenza. Il giovane re era più sveglio ed ardito; aveva un assai più alto concetto dell'onnipotenza del monarca, che è limitata soltanto dal suo cuore e dal suo senno. (26) Gli stava contro l'antico Stato irrigidito di servi e di schiavi. Egli voleva vivificarlo e penetrarlo tutto, completamente, con i suoi desideri, i suoi sentimenti e i suoi pensieri; e, se ciò doveva riuscire, egli poteva volerlo, egli, nel suo Stato. Indi i liberali suoi discorsi ed espansioni di cuore. Ciò che doveva reggere i suoi sudditi non era la legge inanimata, ma il riboccante e vivo cuore del re. Egli voleva mettere in movimento tutti i cuori e le anime a pro' delle aspirazioni del suo cuore e de' suoi piani da lungo maturati. Vi è stato un movimento; ma gli altri cuori non battevano come il suo, e i sudditi non potevano aprire la bocca senza parlare dell'abolizione dell'antica signoria. Gl'idealisti, che hanno l'imprudenza di volere fare un uomo di un uomo, prendevano la parola, e mentre il re d'antico tipo tedesco fantasticava, essi pensavano di dover filosofare alla nuova maniera tedesca. Assolutamente ciò era inaudito in Prussia. Per un momento parve che l'antico ordine di cose fosse capovolto; le cose cominciavano perfino a cangiarsi in uomini; v'erano anzi degli uomini nominati, quantunque non fosse permessa la nomina a' Landtag; ma i servi dell'antico dispotismo posero subito un termine a questo indirizzo alieno dalla tradizione tedesca. Non era difficile mettere in conflitto le aspirazioni del re, che si sdilinquisce per tutto un passato pieno di preti, cavalieri e vassalli con le intenzioni degl'idealisti, che vogliono semplicemente le conseguenze della Rivoluzione francese, e quindi, infine, per sempre la repubblica e un ordine di cose privo di vita. Quando questo conflitto fu divenuto abbastanza incomodo od acuto e il re reso irritabile dall'età fu sufficientemente eccitato, allora andarono da lui i servi, che prima avevano così leggermente spinte le cose e dichiararono: che il re non faceva bene a sviare i suoi sudditi a discorsi inutili; che essi non potrebbero reggere la razza degli uomini avvezzi a chiacchierare. Anche il signore di tutti i Russi arretrati era divenuto inquieto pel movimento che avveniva nelle teste de' Russi avanzati e desiderava il ritorno dell'antico, tranquillo stato di cose. E seguiva indi una nuova edizione dell'antico riserbo de' desideri e de' pensieri degli uomini su' diritti e doveri umani, cioè il ritorno all'antico rigido stato di servi, in cui lo schiavo serve in silenzio; e il padrone della terra e della gente impera quanto più silenziosamente può per mezzo di un servidorame bene allevato e sommesso. Gli uni e gli altri non possono dire ciò che vogliono: nè gli uni che vogliono diventare uomini, nè l'altro ch'esso non ha bisogno di uomini ne' suoi domini. Il silenzio è perciò il solo modo di tirare avanti. Muta pecora, prona et ventri obedientia.

Questo è l'infelice tentativo di elevare sulla stessa sua base lo Stato filisteo: esso è destinato a mostrare come è indispensabile la brutalità ed impossibile l'umanità per il dispotismo di tutto il mondo. Una condizione brutale può essere tenuta in piedi solo con la brutalità. E qui io ho esaurito il mio compito di guardare in faccia al filisteo e al suo Stato. Ella non dirà che io abbia una troppo alta opinione del presente: e se, malgrado ciò, io non dispero di esso, è solo la sua stessa condizione disperata che mi empie di speranza. Io non parlo della incapacità de' padroni e della indolenza de' servi e sudditi che fanno andar tutto come a Dio piace; e tuttavia basterebbero già l'una cosa e l'altra per produrre una catastrofe. Io richiamo soltanto la Sua attenzione su questo, che i nemici del filisteismo, in una parola tutti gli uomini che pensano e che soffrono, sono giunti ad una intesa, a realizzare la quale prima mancavano i mezzi; e lo stesso passivo sistema di propagazione de' vecchi sudditi ogni giorno arrola nuove reclute per la causa della nuova umanità. Ma il sistema dell'industria e del commercio, della proprietà e dello sfruttamento degli uomini mena, anche più celeremente che non faccia l'aumento della popolazione, nel senso della società moderna ad una catastrofe, a cui l'antico sistema non è in grado di poter rimediare, perchè esso non risana e produce, ma soltanto vive e gode. Ma l'esistenza dell'umanità sofferente che pensa e dell'umanità pensante che è oppressa, deve necessariamente divenire insuscettibile di godimento e di assimilazione da parte del passivo e spensierato mondo animale del filisteismo.

Da parte nostra il vecchio momento dev'essere messo in luce in tutta la sua interezza e si deve formare il nuovo mondo positivo. Quanto più tempo lasciano gli avvenimenti all'Umanità pensante di riflettere e all'umanità sofferente di stringersi insieme, tanto più completamente si farà strada nel mondo la creatura, che il presente porta nel suo seno.

Bakunine a Ruge.

Petersinsel im Bielersee, maggio 1843.

Il comune amico Marx mi ha comunicato la sua lettera da Berlino (28). Sembra ch'Ella sia sdegnato della Germania. Ella vede soltanto la famiglia e il filisteo, che è rinserrato ne' suoi stretti quattro assi con tutti i suoi pensieri e le sue aspirazioni, e non vuol credere alla primavera che Le accennerà con il suo allettamento. Caro amico, non perda la fede, la sola fede. Pensi un po' che io, il Russo, il barbaro, non la perdo, non dò per perduta la Germania, ed Ella che sta in mezzo al movimento, che ne ha visto il principio e fu sorpreso dal suo rapido sviluppo, Ella vuole condannare all'impotenza quegli stessi pensieri, in cui prima, quando la loro potenza non era ancora messa alla prova, riponeva ogni fiducia? Lo ammetto, si è ancora ben lontani dall'alba di un 1789 tedesco! Se i Tedeschi non fossero rimasti indietro di secoli? Ma perciò ora non è il tempo di starsene con le mani in seno e disperare vilmente. Se uomini come Lei non credono più all'avvenire della Germania, non vogliono più lavorare per esso, chi vorrà aver fede, chi vorrà operare? Io scrivo questa lettera dall'isola di Rousseau sul lago di Biel. Ella sa che io non vivo di fantasie e di frasi; ma io mi sento correre un tremito per l'ossa, pensando che proprio oggi, mentre scrivo a Lei e su di un tale argomento, sono venuto qui. Oh! è ben certo, la mia fede nella vittoria dell'umanità su preti e tiranni è la stessa fede che il grande sbandito versò in tanti milioni di cuori e che anche qui portò con sè. Rousseau e Voltaire, questi immortali, ritornano giovani; essi solennizzano la loro resurrezione nelle teste più elette della nazione tedesca; un grande entusiasmo per l'umanesimo e per lo Stato, il cui principio, alla fine, è realmente l'uomo, un odio ardente contro i preti e il loro sfacciato bruttamento di ogni grandezza umana e di ogni verità penetrano di nuovo il mondo. La filosofia eserciterà ancora la funzione che in Francia ha adempiuta così gloriosamente; e non prova nulla contro di essa che la sua potenza e la sua efficacia sieno apparse chiare a' suoi avversari prima che ad essa stessa. Essa è ingenua e da prima non s'attende nè guerra, nè persecuzione, poichè essa prende tutti gli uomini come esseri ragionevoli e si rivolge (29) alla loro ragione, come se questa fosse il suo illimitato dominio. È assolutamente nell'ordine delle cose che i nostri avversari, i quali hanno il coraggio di spiegare che noi siamo e vogliamo restare irragionevoli, aprano l'attacco contro la ragione mediante regole irragionevoli. Questa condizione di cose prova soltanto l'oltrepotenza della filosofia: questo grido contro di essa è già la vittoria. Voltaire dice una volta:

«Vous, petits hommes, revétus d'un petit emploi, qui vous donne une autorité dans un petit pays, vous criez contré la philosophie?»

Noi viviamo per la Germania nel secolo di Rousseau e Voltaire e «quelli tra noi che sono giovani abbastanza per vedere i frutti del nostro lavoro, vedranno una grande rivoluzione e un tempo in cui varrà la pena di essere nato». Noi possiamo ripetere anche queste parole di Voltaire senza temere che questa seconda volta siano meno della prima volta confermate dalla storia.

Ora i Francesi sono ancora i nostri maestri. Essi hanno, dal punto di vista politico, un vantaggio di secoli. E come ogni altra cosa deriva da questa! Questa vigorosa letteratura, questa poesia e quest'arte viventi, questa coltura ed elevazione spirituale di tutto il popolo, condizioni che noi siamo in grado d'intendere solo di lontano! Noi dobbiamo rifarci del tempo perduto; dobbiamo incitare la nostra grandigia metafisica, che non riscalda il mondo; noi dobbiamo imparare, dobbiamo lavorare giorno e notte per arrivare a vivere da uomini con uomini, per essere liberi e rendere liberi; noi dobbiamo — io vi ritorno ancora su — impadronirci del nostro tempo col nostro pensiero. Al pensatore e al poeta è concesso di anticipare l'avvenire e foggiare un nuovo mondo di libertà e di bellezza in mezzo alla dissoluzione della ruina e del putridume.

E in vista di tutto questo, iniziati al mistero delle eterne potenze, che svolgono il tempo dal loro seno, vogliamo noi disperare? Se ella dispera della Germania, dispera di sè stesso; sopprime la forza della verità, a cui si è dedicato. Pochi uomini sono abbastanza nobili per consacrarsi tutti e senza riserva alla verità redentrice; pochi sono in grado di rendere partecipi i loro contemporanei di questo movimento del cuore e della mente: ma quegli, a cui è riuscito di diventare la bocca della libertà e di avvincere il mondo (30) col tono argentino della sua voce, quegli ha una guarentigia per la vittoria della sua causa, che un altro può ottenere solo mediante un eguale lavoro e un'eguale fortuna.

Ora io concedo che dobbiamo romperla col nostro stesso passato. Noi siamo stati battuti: e, se anche fu semplicemente la forza bruta, che pose un inciampo al movimento del pensiero e della poesia, questa brutalità sarebbe stata impossibile, se noi non avessimo menato una vita segregata nel cielo della teoria dottrinale, se noi avessimo avuto il popolo dalla parte nostra. Noi non abbiamo portata la sua causa innanzi ad esso stesso. Altrimenti i Francesi. Anche i loro liberatori sarebbero stati oppressi, se si fosse potuto farlo.

Io so ch'Ella ama i Francesi, che sente la loro superiorità. In una causa così grande e per una forte volontà, ciò è abbastanza per emularli e raggiungerli. Quale sentimento! Quale indicibile beatitudine, tendere a questo e poterlo fare! Oh! come La invidio pel Suo lavoro e per il Suo stesso sdegno, poichè anche questo è il sentimento di quanti hanno nobiltà d'animo sul Suo popolo. Potessi cooperarvi anch'io! Il mio sangue e la mia vita per la sua liberazione! Mi creda, esso si eleverà e raggiungerà lo splendore della storia umana. Non sempre i Germani ascriveranno ignominiosamente ad orgoglio l'essere i migliori servi di ogni tirannia. Ella rimprovera loro che non sono liberi, che costituiscono un popolo il quale vive solo di vita privata. Ella dice ciò che sono ora: vuole Ella provare con ciò quello che essi saranno?

Non era lo stesso il caso della Francia: e come subito tutta la Francia si è temprata alla vita pubblica e i suoi figli sono divenuti uomini politici. Noi non dobbiamo dar come perduta la causa del popolo, anche quando esso la diserti. Questi filistei ci abbandonano, ci perseguitano; con tanta maggiore fedeltà i loro figli si dedicheranno alla nostra causa. I loro padri cercano di uccidere la libertà: essi andranno incontro alla morte per la libertà.

E quale vantaggio abbiamo noi rispetto agli uomini del secolo XVIII? La loro voce si levava da un tempo desolato: noi abbiamo vivi innanzi agli occhi gli enormi risultamenti delle loro idee; noi possiamo praticamente venire in contatto con loro se noi andiamo in Francia, abbiamo appena varcato il Reno e ci troviamo d'un tratto in mezzo a nuovi elementi che in Germania non sono nati ancora. La diffusione (31) del pensiero politico in ogni cerchia della società, l'energia del pensiero e della parola, che germoglia nelle menti eminenti solo perchè si sente in ogni parola impressionante l'impulso di tutto un popolo — tutto questo noi lo possiamo conoscere ora per visione viva e diretta. Un viaggio in Francia e anche una più lunga fermata a Parigi ci sarebbe di grandissima utilità.

La teoria tedesca ha pienamente meritata questa precipitosa caduta da tutti i suoi cieli, che ora le tocca, mentre grossi teologi e stolidi signorotti di campagna scuotono le orecchie come un cane da caccia e indicano la via alla sua fuga. Ben per essa, se questa caduta la guarisce della sua alterigia.

Le sarà di giovamento, se dalla sua sorte vorrà trarre l'insegnamento che essa è derelitta nella solitaria e oscura altezza ed è sicura soltanto nel cuore del popolo. Chi si concilia il popolo noi, o voi? Così gridano a' filosofi questi oscuri castrati. Oh! vergogna per questo che accade! Ma anche salute ed onore agli uomini, che spingono avanti vittoriosa la causa dell'umanità!

Qui, qui primieramente comincia la battaglia, e la nostra causa è così forte, che noi, pochi uomini dispersi con le mani legate, spargiamo il terrore e la forza nelle loro miriadi col nostro solo grido di guerra. Bene, ne vale la pena! Ed io voglio spezzare le vostre catene, io, lo Scita, a voi Germani che volete essere Greci. Mandatemi le vostre opere. Nell'isola di Rousseau voglio stamparle e scrivere ancora una volta con lettere di fuoco nel cielo della storia: «Periscano i Persiani!»

Ruge a Bakunine.

Dresda, giugno 1843.

Soltanto ora ricevo la Sua lettera, ma il suo contenuto non invecchia così subito. Ella ha ragione. Noi Tedeschi siamo ancor così indietro, che dobbiamo di nuovo dar fuori una letteratura umana, per conquistare teoricamente il mondo, perchè indi abbia de' pensieri secondo cui operare. Forse possiamo iniziare in Francia, anzi con Francesi, una pubblicazione. Io voglio intendermi su ciò con nostri amici. Del resto Ella ha avuto torto a (32) preoccuparsi tanto che io ero trattato male a Berlino. Tutti gli altri saranno tanto più contenti di se stessi; e un solo desiderio, che il primo berlinese, il re, si appaga, fa da contrappeso a un mondo pieno di tristezza.

Il Cristianesimo, per esempio, è, nondimeno, tutto, per così dire. Ora esso è rimesso in auge: lo Stato è cristiano, un vero chiostro, il re è eminentemente cristiano e i regi impiegati sono più cristiani che mai. Io ammetto che costoro sono religiosi soltanto perchè non hanno abbastanza di un servaggio. Al servizio di corte terreno essi debbono aggiungerne anche uno celeste; la servitù non dev'essere soltanto il loro ufficio, deve essere anche la loro coscienza.

E se i selvaggi dell'America del Nord si puniscono da sè, bastonandosi ben bene, de' loro falli, spero che anche i popoli vorranno mettere in pratica tale procedura con questi cani del cielo. Ma pel momento chi non troverebbe che si sta bene nel regno di Dio? E certamente io avrei partecipato con la maggiore allegria alla universale festa, se non avessi pensato che la disillusione della tristezza è sempre meglio della disillusione di chi è tutto contento di sè. Ella dice: io avrei letto con profitto l'Arlotto che s'era già rattristato del monte che cammina; i Berlinesi l'hanno letto e lo leggono sempre leggendo la loro storia, ma senza frutto; e così ne stanno a questo, che le loro buffonerie sarebbero buoni tratti di spirito. Lo stesso loro cristianesimo l'interessa come un buon tratto di spirito, una trovata geniale. È piccante riconoscere tutte le storture della superstizione e poi portare un abito sacro; è piccante sentire a parlare nello stile del Sacro Romano Impero, ovvero sottoscrivere in quest'epoca profana con la data di qualche giorno sacro e, poichè non è possibile di datare da' luoghi santi, magari da S. Giovanni Laterano o dal Vaticano, è, almeno, piccante di promulgare dal Castello del non santo Federico la Bolla per la ricostituzione delle suore di carità o per la fondazione della cappella di Sant'Adalberto.

Ma io non voglio punto correre un'altra volta il pericolo di abitare sotto le palme, nemmeno per opera di fantasia. Addio, Berlino. Io mi scelgo Dresda. Qui tutto è raggiunto, tutto si gode. quanto la Russia con tutto lo sforzo del suo spirito officiale non può riottenere. Gli stati, le corporazioni, le antiche (33) leggi, la spiritualità accanto alla mondanità, il prelato cattolico nella Camera de' parlamenti dell'Impero, i calzoni corti e le calze nere anche de' sacerdoti luterani, i divorzi col conforto sacerdotale e la potenza del Concistoro in tali occorrenze, la festa domenicale e la pena di 16 groschen ossia 5 risdalleri per ogni violazione del sabato, un'associazione contro i maltrattamenti delle bestie ma non contro l'industria dello spazzacamino, nessuno contro la trascuranza degli uomini: — ma no, per non essere ingiusti, bisogna ricordarsi che un cristiano dabbene che aveva preso sul serio l'umanesimo ed eliminò in parte il maltrattamento de' fanciulli poveri con un mezzo assai ingegnoso, non andò a rompersi contro la sua incapacità ma contro l'eccellenza di quello che si è detto sopra. La Sassonia porta tutto lo splendore del tempo più antico ringiovanito nel suo seno; non si studia più abbastanza questo Eldorado dell'antica giurisprudenza e teologia, questo Sacro Romano Impero in miniatura, di cui le reggenze delle circoscrizioni e forze armate si dichiareranno subito indipendenti l'una dall'altra e la cui università di Lipsia già da lungo tempo era indipendente dal vano indirizzo della cultura spirituale nell'ampia, desolata Germania, per tacere dall'Europa. Ma io non dico che la nazione sassone non faccia alcun progresso. Io Le voglio raccontare una storiella. Gli Ebrei sono cattivi Cristiani, e però non partecipano de' diritti del rimanente popolo sassone: essi non hanno alcun diritto di occupar cariche e non possono fare questo o quello che possono fare gli uomini battezzati. Prima di questo che io racconto, la terrazza di Brühl era il giardino di Brühl. Presso al tonte, dove ora è la scala, vi era una ripida muraglia e da ogni altro lato il giardino era chiuso. Una sentinella in molti giorni non lasciava passare alcuno: ma normalmente, tutti i giorni, vietava l'ingresso agli Ebrei ed a' cani. Un giorno arrivò una moglie di generale con un cane in braccio, e, a causa del cane, fu respinta dalla sentinella. Irritata, la signora se ne dolse col marito, e così compariva un ordine che eliminava l'istruzione data alle sentinelle contro i cani. I cani ora andavano di tempo in tempo nel giardino di Brühl; ma gli Ebrei ? — no, gli Ebrei non ancora. Gli Ebrei quindi ne mossero doglianza e chiesero di essere parificati a' cani. Il generale era in grande imbarazzo — doveva egli revocare il suo ordine, di cui non aveva presentita la conseguenza rivoluzionaria? Sua moglie teneva fermo al diritto (34) del suo cane e anche de' cani de' suoi amici. La cosa era già passata in consuetudine, e gli Ebrei — il generale lo vedeva bene — avrebbero strepitato orrendamente, se non si concedeva loro, ora, nel secolo decimonono, il privilegio de' cani che pure avevano goduto per tutto il Medio Evo. Il generale si decise così, sotto la sua personale responsabilità, a lasciare entrare anche gli Ebrei nel giardino di Brilla, quando non era chiuso per la presenza della Corte. L'indignazione era grande, ma il vecchio guerriero la sfidava. Ora, vennero i Russi. Il generale governatore Repnin non trovò più corte nel 1813: egli pensò anche che non ve ne sarebbe stata più, e del giardino di Brühl fece la terrazza di Brühl con la grande scalinata e il libero ingresso che ha ora. Questo pose in sussulto il cuore di tutti i Sassoni normali; e, se i Russi non fossero stati tanto più popolari de' Prussiani, sarebbe scoppiata una rivolta. Ma il popolo si lasciò trasportare al punto da tirare a' magnifici fagiani del grande giardino e volle che i Russi aprissero anche agli uomini quel passaggio che prima era riservato a' fagiani. Uno, intanto, il più normale di tutti i Sassoni, un consigliere particolare del Principe Elettore, che vive ancora, non ha mai perdonato a' Russi la loro sconveniente smania di novità, che guastava ogni cosa. Egli non riconosce nè la terrazza di Brühl, nè il grande giardino. Egli non sale, nè scende mai la scala russa, egli passa sempre per la legittima porticina di quello che era una volta il giardino di Brühl: non conduce mai con sè nè un cane, nè un Ebreo, e non va mai nella fagianeria altrimenti che per la via di mezzo, che anche nel buon tempo antico era aperta, fuorchè nel tempo della cova de' fagiani, al pubblico de' pedoni.

Certamente il cristiano conservatore è ragionevole, e se tutti i Tedeschi fossero sassoni normali o se non vi fossero Russi che vengono di tempo in tempo ad aprire ad essi il loro passaggio, o se non vi fossero Francesi che tagliano loro il codino a Jena, o se finalmente non vi fossero nè Prussiani, nè smania di novità nelle teste de' loro re cristiani ed ebrei; — in nessun luogo si vivrebbe più tranquilli che a Dresda. Ma, per la nostra patria sassone, con tutto lo splendore interno, son sempre da temere grandi scosse dall'esterno.

Perfettissimo è il mondo, ove non giunge
Con le sue pene l'uomo.

Feuerbach a Ruge.

Breilberg, giugno 1843.

(35) Le lettere e i progetti letterari, ch'Ella mi comunica, mi hanno dato molto da pensare. La mia solitudine mi fa sentire il bisogno di qualche cosa di simile: non trascuri di scrivermi ancora. La fine de' Deutsche Jahrbücher mi ricorda la fine della Polonia. Gli sforzi di pochi uomini furono vani nell'universale pantano di una vita nazionale imputridita.

Non ci accade spesso, in Germania, d'imbatterci in un ramo verde. Tutto vi è inaridito, una cosa in una maniera, una cosa in un'altra. Noi abbiamo bisogno di uomini nuovi. Ma essi non vengono questa volta, come nelle immigrazioni di popoli dalle paludi e da' boschi: essi debbono uscire da' nostri lombi. E ne' pensieri e nella poesia dev'essere trasfuso il nuovo mondo alla nuova generazione. Tutto si deve rifare dalle fondamenta: un lavoro gigantesco di molte forze riunite. Non deve rimanere alcun legame con l'antico regime: nuovo amore, nuova vita, dice Göthe; nuovi principii, nuova vita, va detto per noi.

La testa non va sempre innanzi; essa è la cosa più mobile e al tempo stesso più grave.

Nella testa germoglia il nuovo: ma nella testa persiste anche, il più lungamente possibile, il vecchio. Alla testa si abbandonano con gioia mani e piedi. Dunque prima di ogni altra cosa occorre sanare e purgare la testa. La testa è il teorico, il filosofo. Essa deve imparare soltanto a portare il duro giogo della vita pratica, in cui noi ci troviamo, e ad accasarsi umanamente in questo mondo sulle spalle di uomini attivi. Questa è soltanto una distinzione del modo di vita. Che cosa è la teoria, che cosa la praxis? In che cosa consiste la loro differenza ? Teoretico è ciò che è confinato ancora nella mia testa, pratico ciò che si muove in molte teste. Ciò che unisce molte teste fa massa, si allarga e così si fa posto nel mondo. Fate che si costituisca un nuovo organo per il nuovo principio; questa è una praxis. che non può essere ancora differita.

Ruge a Marx

Paris, agosto 1843.

Il nuovo Anacarsi e il nuovo filosofo mi hanno persuaso. È vero: la Polonia è perita, ma non è (36) perduta, e seguita a farsi sentire dalle sue ruine; e se la Polonia sapesse trarre un insegnamento dalla sua sorte e si buttasse in braccio alla ragione e alla democrazia, il che vuol dire che cessasse di essere Polonia — potrebbe bene salvarsi. «Nuova dottrina, nuova vita», sì! come la fede cattolica e la libertà aristocratica non salvano la Polonia, così la filosofia teologica e la scienza aristocratica non potranno liberarsi. Noi non possiamo portare a compimento il nostro passato, se non rompendola decisamente con esso. I Jahrbücher sono periti: la filosofia hegeliana appartiene al passato.

Noi vogliamo fondare un organo, in cui giudichiamo noi stessi e tutta la Germania con piena libertà e con inesorabile schiettezza. Solo questo importa un vero ringiovanire: è un nuovo principio, una nuova posizione, una liberazione dall'angusto spirito del nazionalismo e un acuto contrasto alla brutale reazione del tetro mostro che col tiranno Napoleone ingoiò anche l'umanismo della rivoluzione. Filosofia e pregiudizio nazionale, come era possibile congiungere le due cose, anche nel solo nome e titolo di un giornale? Ancora una volta la Confederazione germanica ha vietata a buon diritto la resurrezione de' Jahrbücher tedeschi; essa ci grida: nessuna resurrezione! È ragionevole! Noi dobbiamo iniziare qualche cosa di nuovo, se, sopratutto, vogliamo far qualche cosa. Io mi occupo del lato mercantile della cosa. Noi contiamo su Lei. Mi scriva sul piano della nuova rivista, che io Le sottopongo.

Marx a Ruge.

Kreutznach, settembre 1843.

Son lieto ch'Ella si sia decisa, e che, dalle sue riflessioni sul passato volga i suoi pensieri, avanti, ad una nuova intrapresa. Dunque a Parigi, nell'antica scuola superiore della filosofia, absit omen! e la nuova capitale del nuovo mondo. Ciò che è necessario si ottiene. Perciò io non dubito che tutti gli ostacoli, di cui non disconosco l'importanza, si lascino eliminare.

Ma, venga o non venga a termine l'impresa, (37) in ogni caso per la fine di questo mese sarò a Parigi, poichè l'aria di qui rende servi e io non veggo, in nessuna maniera, in Germania, un qualsiasi campo per una libera attività.

In Germania tutto è oppresso per violenza; una vera anarchia dello spirito; ha fatto irruzione il regime della stolidità, e Zurigo obbedisce agli ordini che vengono da Berlino; appare perciò sempre più chiaro che bisogna cercare un altro luogo di convegno per le teste davvero indipendenti e pensanti. Io sono persuaso che il nostro progetto risponderebbe a un reale bisogno e i reali bisogni si debbono anche realmente soddisfare. Io non dubito dell'impresa, quando la si assuma con serietà.

Maggiori degli ostacoli esterni mi sembrano le difficoltà interne. Poiché, se anche non vi è alcun dubbio sul «donde», vi è tanta più confusione sul «dove». Non solo è scoppiata un'anarchia generale tra i partigiani delle riforme: ognuno deve confessare che egli non ha un esatto concetto di ciò che dev'essere. Intanto, è questo proprio il vantaggio del nuovo indirizzo, che noi non anticipiamo dommaticamente il mondo, ma solo mediante la critica del vecchio mondo vogliamo trovare il nuovo. Finora i filosofi avevano posto sul loro leggìo la soluzione di tutti gli enigmi e lo stupido mondo esoterico aveva soltanto da aprire la bocca perché le colombe della scienza assoluta, già belle e arrostite, gli volassero in bocca. La filosofia si è fatta mondana e la prova più convincente si è che la coscienza filosofica è stata attratta, non solo esteriormente, ma interiormente nel tormento della lotta. La costruzione del futuro e la ricetta buona per tutti i tempi non è affar nostro; così è tanto più certo ciò che dobbiamo fare al presente, cioè la critica senza riguardi di tutto ciò che esiste; senza riguardo nel senso che la critica non ha paura de' suoi risultati e tanto meno del conflitto con gli attuali poteri.

Perciò io non propendo perchè si pianti una bandiera dogmatica: al contrario. Noi dobbiamo aiutare a progredire i dogmatici, perchè chiariscano le loro proposizioni. Così il comunismo specialmente è un'astrazione dogmatica; e, mentre dico questo, io non ho in mente un comunismo immaginario e possibile, ma il (38) comunismo, qual'è realmente, come lo insegnano Cabet, Dezamy, Weitling ecc. Questo comunismo è soltanto una manifestazione del principio umanistico staccato dal suo contrapposto, l'esistenza privata. Abolizione della proprietà privata e comunismo non sono punto la stessa cosa, e non per caso il comunismo si è visto sorgere contro altre dottrine socialiste, come quelle di Fourier, Proudhon ecc. perché esso stesso è soltanto una particolare, unilaterale realizzazione del principio socialista.

E l'intero principio socialista è, ancora, solo un lato che concerne la realtà del vero essere umano. Noi dobbiamo darci pensiero anche dall'altro lato, dell'esistenza teoretica dell'uomo, e quindi dobbiamo fare oggetto della nostra critica, la religione, la scienza ecc. Oltre di ciò noi vogliamo esercitare un'azione su' nostri contemporanei, e propriamente su' nostri contemporanei tedeschi. Si domanda, in che modo si può far questo? Due ordini di fatto non si lasciano smentire. Prima la religione e poi la politica sono argomenti che formano il principale interesse della odierna Germania. A questi, quali sono, bisogna rannodarsi; non già contrapporre ad essi un sistema bell'e compiuto come, per esempio, il Voyage en Icarie.

La ragione ha sempre esistito soltanto non sempre in forma razionale. Il critico può dunque riconnettere ad ogni forma della coscienza teorica e pratica e sviluppare dalle forme della realtà esistente la vera realtà come la loro legge intima e il loro scopo finale. Per ciò che concerne la vita reale, lo Stato politico, anche dove non realizza in forma consapevole le esigenze del socialismo, comprende in tutte le sue forme moderne i precetti della ragione. Ed esso non si ferma qui. Esso presuppone dovunque la ragione come realizzata; ma così esso approda dovunque a un contrasto della sua destinazione ideale con le sue premesse reali.

Da questo conflitto dello Stato politico con sè stesso si lascia perciò indurre da per tutto la verità sociale. Come la religione indica il contenuto delle lotte teoretiche del genere umano, così lo Stato politico indica il contenuto delle sue lotte pratiche. Lo Stato politico esprime dunque entro la sua forma sub specie reipublicae tutte le lotte, i bisogni, le verità sociali. Quindi la più speciale questione politica — per esempio la differenza del sistema rappresentativo da quello a stati — non si deve fare oggetto della critica sotto la hauteur des principes; (39) perchè questa questione esprime soltanto in forma politica la distinzione della signoria dell'uomo e della signoria della proprietà privata. Il critico, quindi, non solo può, deve addentrarsi in queste questioni politiche, che secondo l'opinione de' socialisti grossi sono al disotto di ogni considerazione. Con lo svolgere la preminenza del sistema rappresentativo su quello a stati, interessa praticamente mi grande partito. Con l'elevare il sistema rappresentativo dalla sua forma politica alla forma generale e col rilevare la vera importanza, che ne costituisca la base, obbliga questo partito ad andare oltre di sè stesso, poiché la sua vittoria segna anche la sua rovina.

Niente c'impedisce quindi di connettere la nostra critica alla critica della politica, alla partecipazione alla politica, alle reali lotte quindi e ad identificarle con esse. Allora noi non andiamo contro al mondo dottrinario con un nuovo principio: Qui è la verità: inginocchiatevi! Noi svolgeremo pel mondo nuovi principii da' principii del mondo. Noi non gli diciamo: desisti dalle tue lotte, esse sono una cosa sciocca: noi ti vogliamo gridare la vera parola della lotta. Noi gli mostriamo soltanto, perchè veramente combatte, e la coscienza è una cosa ch'esso si deve appropriare, se anche non vuole.

La riforma della coscienza consiste solo in questo che si fa scorgere al mondo la sua coscienza, che lo si sveglia dal sogno che fa di sè stesso, che gli si spiegano le sue proprie azioni. Tutto il nostro scopo non può consistere in altro, come accade anche nella critica della religione di Feuerbach, che le questioni religiose e politiche sono ridotte alla cosciente forma umana.

Il nostro motto dev'essere dunque: riforma della coscienza non per mezzo di dogmi, ma mediante l'analisi della coscienza mistica non chiara a se stessa, o si presenti sotto forma religiosa o politica. Apparirà allora che il mondo ha da lungo tempo il sogno di una cosa, di cui deve avere soltanto la coscienza per possederla realmente. Apparirà che non si tratta di un grande distacco di pensieri tra il passato e il futuro, ma del compimento de' pensieri del passato. Apparirà infine che il genere umano non comincia nessun nuovo lavoro, ma con consapevolezza mette a posto il suo antico lavoro.

(40) Noi possiamo dunque riassumere in una parola la tendenza della nostra pubblicazione: sviluppo della coscienza del tempo, filosofia critica sulle sue lotte e sulle sue aspirazioni. Questo è un lavoro per il mondo e per noi. Esso può essere soltanto l'opera di forze unite. Si tratta di una confessione, di niente altro. Per farsi perdonare i suoi peccati il genere umano ha bisogno soltanto di spiegarli per quel che sono.


Note

1. Ne' Deutsche-französische Jahrbücher herausgegeben von Arnold Ruge und Karl Marx, 1ste und 2te Lieferung, Paris, 1844, pp. 17-40.

I numeri inseriti nel corso della pagina segnano la corrispondenza con la pagina del testo.



Ultima modifica 2021.04.11